Vela Latina
L’armo del Mediterraneo: la sua struttura comprende un albero, un’asta, detta antenna, che viene issata diagonalmente sull’albero e dalla vela, che viene inferita sull’antenna mediante appositi legacci, i matafioni. L’antenna, con la vela inferita, viene issata sospesa in un punto situato tra 1/3 e 1/2 della lunghezza a partire dall’estremità anteriore (carro), in posizione obliqua: la parte bassa con l’angolo di mura della vela assicurata a prua della barca, l’angolo di penna nella parte alta dell’antenna e l’angolo di scotta libero per le manovre. Non tragga in inganno l’aggettivo latina, che sembrerebbe voler indicare una derivazione nostrana, romana. Probabilmente di ispirazione araba, tende ad indicare che si tratta di una vela alla trina, con tre lati, diversa quindi dalla vela alla quadra armata sui pennoni. Ebbene questo armo ha conosciuto, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, un risveglio molto interessante e nel 2018 in Francia, “l’arte di navigare a vela latina” (L’art de la navigation sous voile latine) è stata riconosciuta come “Patrimonio Culturale Immateriale” dal Ministero della Cultura francese ed inserita nell’Inventario nazionale. E nel luglio 2020, su proposta congiunta dell’Associazione Vela Latina Monte di Procida e del Comune di Monte di Procida, la Regione Campania, in concordanza alla suddetta convezione Unesco, ha riconosciuto il ‘Sapere e l’abilità della marineria flegrea inerenti la costruzione, la manutenzione e l’utilizzo del gozzo napoletano-flegreo a remi e a vela latina’ come Patrimonio Culturale Immateriale.

IL SANT’ALBERTO
Il Gozzo Sant’Alberto, qui ripreso durante un allenamento in occasione delle Regate della Vela Latina di Stintino nell’agosto 2006, ha una storia che merita di essere raccontata, perché rappresenta un significativo avvenimento della storia della sezione di Genova Sestri della Lega Navale Italiana. Il gozzo, relitto abbandonato nella fascia di rispetto di Genova Pra, rinato a nuova vita per volenterosa opera di un gruppo di Soci della Sezione, è stato varato nel Maggio del 2005 e da allora ha partecipato, con buoni successi, a molte manifestazioni del Circuito Mediterraneo Vela Latina. Le attività di recupero e restauro sono piacevolmente ricordate in questo racconto di Gian Maria Gatti, uno dei Soci che vi hanno preso parte.
Eravamo agli inizi di novembre del 2003, la giornata era tipicamente autunnale; vento assente, pioggia fitta e leggera che da diversi giorni insisteva con ossessiva regolarità disarmando anche i più temerari nel tentare una uscita in mare. Autunno pieno, nuvole basse, colori sbiaditi, umori al ribasso. In Sezione, le solite chiacchiere al bar nel tentativo di far passare in compagnia e con qualche “sfottò” le ore della domenica mattina.Si discuteva di barche e delle avventure dell’estate. Chi si era spinto a Carloforte aveva potuto ammirare gozzi a vela latina di abbagliante bellezza, gozzi che a Stintino, nel fantastico specchio d’acqua dell’Asinara, avevano dato spettacolo! Gozzi a vela anche in Francia, a Cavalaire sur Mer, a St. Tropez e Mentone. Senza andare troppo distante, nella vicina Varazze ne hanno recuperati diversi ed un certo “Can Neigru” detta legge in regata. Qualcuno accennò all’esistenza, all’interno della fascia di rispetto di Prà, di un gozzo abbandonato su un terrapieno creatosi per i lavori finalizzati allo spostamento a mare della linea ferroviaria per Ventimiglia. Una certa idea cominciò a frullare nella mente; con decisione unanime, si decise, all’istante di andare a controllare l’effettiva presenza dell’imbarcazione ed a valutare “de visu” le condizioni della stessa.
Sotto la pioggia battente l’ultima parte del percorso, tra buche e pozzanghere, mise a repentaglio l’integrità dei mezzi di trasporto. L’oggetto di tanto interesse (o solo curiosità) fu facilmente localizzato ma, guardandosi attorno, e la giornata senza sole dette un deciso contributo, un senso di angoscia, di profondo malessere attanagliò l’animo di chi in questi luoghi aveva trascorso gli anni della gioventù. L’effetto evocativo di quell’opera d’arte abbandonata era tremendo. Il gozzo era lì, inerte, sulla scarpata, la prua verso l’alto, pieno d’acqua piovana fino al trincarino, con i paglioli che galleggiavano assieme ad altri pezzi di legno estranei alla costruzione. Una targhetta metallica applicata ad un baglio del carabottino di poppa diceva: “Costruzione Battelli – Topazio Mariano – Lavagna –Via dei Devoto”. Niente numero di costruzione, niente data. Un supporto per motore fuoribordo, sicuramente non messo in opera dal costruttore, oltraggiava ulteriormente l’imbarcazione. Le panche laterali autorizzarono il “maestro” a qualificarlo come “gozzo da passeggio”, smentendo gli improvvisati esperti che avevano erroneamente pensato a battute di pesca. Purtroppo non era un “curniggiotto” (*) ma, a parte questa piccola delusione, la prima impressione fu nettamente positiva.
L’acqua all’interno era garanzia di tenuta; una volta svuotato e messo in mare il fasciame non avrebbe tradito.
Ragionamento di una certa logica ma in realtà molto approssimativo.
Un coraggioso, denudandosi un braccio riuscì ad aprire il “leso” con modesto risultato, in considerazione dell’accentuata inclinazione della barca e dal fatto che il foro è ubicato tradizionalmente a prua. Uno sprovveduto (di origine piemontese) che auspicò la necessità di un secondo “leso” a poppa fu aspramente redarguito e dovette ammettere che tali imbarcazioni venivano sempre alate trainandole da poppa (appositi ganci) e che le spiagge, quelle liguri in particolare hanno una forte pendenza verso il mare.
L’opera di svuotamento fu completata con i tradizionali secchi recuperati in un vicino cantiere. Sul fondo fanghiglia, stracci maleodoranti, utensili arrugginiti.
In fase iniziale i problemi urgenti, nel tentativo di ricupero, erano fondamentalmente due:
- Sensibilizzare Presidente e Consiglio Direttivo al fine di trovare nell’ambito della Società un posto al coperto da elevare a rango di cantiere ove poter iniziare e, forse, portare a termine un’opera estremamente difficile e di durata indefinibile.
- Rintracciare il proprietario, per non essere accusati di appropriazione indebita, vulgo FURTO.
Ambedue andarono a buon fine. Il Consiglio Direttivo, evidenziando che tra le varie finalità della L.N.I. esiste anche il recupero delle barche storiche, estrapolò dal bilancio societario una certa somma per i materiali necessari al restauro. 150 € finirono nelle tasche di un arzillo signore che le considerò piovute dal Cielo.
Il Gruppo Derive mise a disposizione un carrello e relativo pulmino per l’avventuroso trasferimento del gozzo da Prà alla nostra Sezione.
Mano d’opera totalmente basata sul volontariato. Chi per passione, coraggio o incoscienza, si assunse l’onere di impegnarsi in prima persona, fu l’amico Stefano Molinari ex macchinista delle FF.SS, uomo dotato di ottima manualità, con molti giovanili anni trascorsi, dieci dodici ore al dì, in officine meccaniche, prodotto dei mai dimenticati Istituti Industriali. Scuole che diplomarono tecnici raffinati che contribuirono a rendere famosi nel mondo Stabilimenti Sestresi come la S. Giorgio, la Marconi, l’Ansaldo e la stessa Fincantieri.
Nel caso specifico la logica imponeva la presenza di un rappresentante di una categoria in via d’estinzione: quella dei “Maestri d’ascia”. Rari ormai come quel favoloso uccello d’Arabia e dai costi fuori delle nostre possibilità. Il buon Stefano non si perse d’animo, tentò e ritentò di attenuare dubbi e perplessità con l’ottimistica frase “cercheremo d’imparare”.
Il Cantiere in Sede fu allestito rubacchiando l’indispensabile superficie alla zona di manovra per gli alaggi. Tubi innocenti, lastre in plexiglass e tendoni da autotrasporto servirono a realizzare un’approssimativa protezione alle mutevolezze del tempo. L’impianto elettrico non creò grosse difficoltà. La targhetta originale invogliò un entusiasta a spingersi in quel di Lavagna alla ricerca del Cantiere Topazio, cantiere che è tuttora in piena attività e sempre con prodotti dalle caratteristiche di un tempo, legno tradizionale.
Accolto con grande cordialità dai figli e dallo stesso Sig. Mariano, ancora sulla breccia, cercò, descrivendo le caratteristiche del gozzo di dare la possibilità al titolare del cantiere di risalire, con logica approssimazione, all’anno di costruzione. Il responso, dopo un laborioso processo di decantazione e filtraggio dei ricordi, arrivò sintetico: 1963 – 1964.
Disponibilità massima di questi professionisti a mettere mano alla malandata creatura, ma le nostre possibilità esclusero a priori tale offerta.
Sistemato finalmente nello spazio concessoci, vennero puntualmente alla luce le “magagne” che la pioggia aveva nascosto e che la nostra esperienza non aveva evidenziato.
Dritto di prua e dritto di poppa irrecuperabili, bordi staccati in condizioni tragiche molte ordinate e madieri rotti. Lo sconforto sopravvenuto fu sconfitto dall’unanime volontà di non darsi per vinti al cospetto di chi aveva valutato con ragionevole scetticismo la nostra iniziativa. L’opera di asportazione delle vecchie vernici e smalti fu iniziata da ampia e varia manovalanza con l’entusiasmo tipico di chi si accinge a fare un lavoro mai svolto; raschietti e carta vetro evidenziarono impietosamente la scarsa attitudine di qualcuno al lavoro manuale. Lo smontaggio delle panche e dei carabottini assunse vertici di certosina pazienza nell’estrarre dai bagli viti metalliche incancrenite nel legno da decenni d’incuria. Discussioni, e punti di vista contrastanti; da “Centro di Aggregazione” il Cantiere rischiava di divenire fucina di risentimenti e conseguente disinteresse di chi era oggetto di critiche più o meno velate.
Il buon Stefano prese in mano la situazione e la gestì con buona diplomazia. Il bello cominciò quando, dopo aver messo a nudo la struttura nel suo complesso, si dette inizio all’opera di ricostruzione. Asportazione dei due dritti, ricerca del legname necessario (Iroco ed Acacia) rifacimento degli stessi e loro sistemazione. Mesi di lavoro con l’incubo di ricominciare da zero per errore di misura o di taglio. Il nuovo dritto a prua fu motivo d’immensa soddisfazione e di rinnovata reciproca fiducia per arrivare al completamento dell’opera.
Oltre a tantissimi Soci, anche giovanissime scolaresche presenti in Sede per i Corsi di vela Optimist, visitarono il “Cantiere” rendendosi conto di come veniva costruita “una barca” prima dell’avvento della vetroresina e cosa fosse un’ordinata, un madiere, un baglio, un controdritto ecc. ecc.
Per migliorare le caratteristiche boliniere del mezzo, fu necessario aumentare il piano di deriva sovrapponendo una seconda chiglia a quella esistente che, fortunatamente era in ottime condizioni. Facile a dirsi e a raccontarlo.
Successione infinita di difficoltà di vario genere superate anche con l’aiuto di chi, al di fuori del gruppo iniziale, metteva a disposizione le proprie conoscenze nel campo specifico della sua attività professionale.
Ad un anno dal recupero il lavoro eseguito aveva trasformato un relitto in un opera che riproponeva l’antico fascino.
Altro grave problema incombente era l’armamento velico. La progettazione del piano velico fu affidata all’amico Floriano Cabona, l’unico del gruppo con lunga collaudata esperienza nel campo della vela latina. Negli anni passati, armatore di un gozzo di 6 metri, attualmente frequentatore dei campi di regata come equipaggio di un gozzo di Prà.
Il grande Mario Mainelli erede di una dinastia di levantini (Bonassola), a suo dire costruttrice di “Leudi”, sfoderò le sue conoscenze progettando l’attrezzatura fissa e mobile sfoggiando un’abilità marinaresca, universalmente riconosciuta, degna di nostromi d’altri tempi.
Entrambi operarono nel pieno rispetto delle norme di stazza. Una albero di 4 metri ed un’antenna di 8 metri non si trovano dietro l’angolo. Grazie alla disponibilità dell’Associazione Culturale “Storie di barche” di Pieve ligure diretta dall’amico Roberto Guzzardi, che ci mise a disposizione macchine indispensabili, ed a un meticoloso lavoro di taglio, incollaggio e piallatura, fu possibile trasformare lunghe tavole di Douglas in un robusto albero, in una slanciata antenna ed in un aggressivo bompresso.
I visitatori aumentarono quando si dette mano alla vagheggiata opera di verniciatura. Il pericolo d’ incompatibilità tra i vari pigmenti e di errori nelle diverse fasi di applicazione furono esclusi dalla presenza del buon Mario Marasso, modellista di chiara fama, con un passato di costante collaborazione con il Cantiere Penco, attivo un tempo in quel di Priaruggia. La mano del quasi professionista diede alla stuccatura ed alla verniciatura un aspetto impeccabile.
Alla veleria “Off – Shore” di Andrea Roccatagliata il compito di preparare le vele. Dopo ampio dibattito, sulle orme della tradizione, il gozzo è stato intitolato al Santo Patrono della delegazione di Sestri Ponente, “S. Alberto”.
In considerazione dell’esperienza di vela latina e dell’età del probabile equipaggio la compagnia e la protezione di un Santo sembra decisamente auspicabile.
Con gli inevitabili periodi di inattività l’opera è stata portata a termine in 18 mesi (doppia gestazione) con la collaborazione di tanti Soci che, al di là del lavoro manuale, hanno fatto opera di ricerca mirata a scovare pezzi d’epoca per impreziosire la barca.
Gian Maria Gatti
(*) – Curnigiottu – gozzo tipico della zona di Cornigliano diffuso anche nel ponente ligure caratterizzato dalla forma della prua priva di slancio e rientrante verso l’interno. Non esistendo porti la prua, così strutturata risentiva in modo attenuato del moto ondoso, in fase di alaggio sulla spiaggia.
Le gare
19 Giugno 2005
fa il suo esordio a Savona per la 5^ edizione del Trofeo Dodero e la 3^ del Trofeo Toscano.
3 Luglio 2005
partecipa a Pegli alla tappa n.7 del Circuito del Mediterraneo della Vela Latina;
al Porto Antico di Genova per il Trofeo Dodèro – 1^ Coppa Real
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Il 25 e 26 Agosto 2006
a Stintino partecipa alla ventiquattresima edizione della Regata della Vela latina – Trofeo del Presidente della Repubblica : è vittorioso il primo giorno mentre il secondo scuffia, fortunatamente senza conseguenze, e si risolleva in autonomia grazie alla perizia dell’equipaggio;
Il 12 Maggio 2007
è presente alla prima tappa del 7° Circuito Mediterraneo della Vela Latina a Celle Ligure;
Il 26-27 Maggio 2007
non manca all’8° Trofeo Nicolò Dodero al Porto Antico di Genova;
Il 15 Luglio 2007
partecipa alla 4a tappa del Circuito Vela Latina, il Gozzo International Meeting a Sorrento: VINCENTE IN UNA REGATA STORICA (vedi cronaca del sempre brillante Gian Maria Gatti in questo blog);
Il 25-26 Agosto 2007
è presente alla 25a Regata della Vela Latina a Stintino;
Il 20-21 Settembre 2008
è a Camogli “Il mare ci unisce” – Quinta Tappa del CIrcuito MediterraneO Vela Latina;
Il 4 Giugno 2010
Schierato a Saint Tropez ottiene un ottimo secondo posto nella sua classe;
Il 9 Luglio 2013
è a Celle Ligure per la tradizionale regata cellese di vela latina “E Vie du Ma”, con la 4a edizione del trofeo Mario Venturino, e la 9a edizione del trofeo Federico Toscano con Claudio Busetto al timone;
Il 26 e 27 Luglio 2014
Partecipa per il “Trofeo Pesce Pazzo” alla seconda tappa del circuito “E Vie du Ma” riservata a gozzi d’epoca armati a vela latina timonato da Claudio Busetto;
Il 26 Luglio 2015
Vince a Varazze la regata del circuito “E Vie du Ma” con Enrico Guagliardo al timone, Ennio Deiana prodiere e Roberto Massino al carro.
TRASFERTA DI SORRENTO
ESTATE DEL 2007
di Gian Maria Gatti
Sul programma nazionale delle regate di vela latina spiccava, in bella evidenza la data di Sorrento: dal 12 al 15 luglio. Al desiderio di partecipazione si opponevano le preoccupazioni e le perplessità legate ai 1500 chilometri di percorso (tra andata e ritorno) dell’impegnativa trasferta. Tra conferme ed indecisioni, con l’aiuto determinante del nostro sodalizio e della Società organizzatrice (albergo gratis per quattro giorni) venne deciso di onorare l’appuntamento. Questi i protagonisti: Pier Angelo Simetti, istriano di Rovigno, nato sull’acqua, uomo dalla poliedrica vita professionale, navigatore esperto, allora ed a tutt’oggi skipper professionale, sempre in grado di risolvere sul momento le difficoltà impreviste che la vita elargisce a piene mani, Giorgio Ghio (dentista), Gian Franco Fossati e Gian Maria Gatti (“mandrogno” del Basso Piemonte), responsabile di questa cronaca. Tacitamente, con unanime consenso, il bastone del comando (leggi volante del pulmino con carrello al traino e 400 Kg di barca del Sant’Alberto) venne affidato all’uomo dell’Adriatico. NOBLESSE OBLIGE.
Il Pier Angelo si mostrò all’altezza della situazione: mano sicura, ore di guida senza segni di stanchezza; qualche telefonata di troppo di armatori che lo interpellavano per trasferimenti di barche in tutto il bacino del Mediterraneo. Napoli fu raggiunta senza difficoltà; traffico scorrevole fino a Torre del Greco, dove si uscì dalla’autostrada per percorrere la litoranea fino a Sorrento. Decisione errata!!! Torre Annunziata, Castellammare di Stabia, Vico Equense, universalmente note come località dal fascino irresistibile, per noi assunsero l’aspetto di barriere invalicabili, trasformando Sorrento in una meta dalla sofferta e disperata conquista. Traffico caotico, anarchia assoluta alla faccia dei sensi unici, dei divieti di sosta, dei parcheggi in doppia e tripla fila. Ore di coda. Uno dei partecipanti (PRIVACY), lusingato dalla presenza di un bar, scese dal pulmino, ordinò un caffè, soddisfece una esigenza personale di secondo livello (problemi alla prostata sarebbero comparsi in gara successiva) e ritornò in compagnia, con la vettura e carrello ben statici sul punto “ante evacuatio”. Sul far della sera, finalmente, raggiungemmo Sorrento.
Una grande, gradita sorpresa! Bella, bellissima: costruita su un terrazzo tufaceo a picco sul mare. Giardini, agrumeti, pulizia scrupolosa e, soprattutto atmosfera signorile. Lasciato il carrello col gozzo a Marina Grande, un membro dell’organizzazione ci indica l’albergo assegnatoci. Non è in città: due chilometri in direzione di Massa Lubrense, verso l’estremità della penisola sorrentina. Hotel President. Prima categoria. DA FAVOLA. Le camere da letto sono ai piani bassi. L’ultimo piano ospita il soggiorno e la sala da pranzo. Giusto invertire la tradizionale collocazione degli ambienti. La vista sul Golfo è qualcosa di indescrivibile: Capri vicinissima, lontano Ischia, Procida, poi Pozzuoli, Napoli avvolta in leggera foschia e poi il cono del Vesuvio (1300 metri) per terminare il quadro. Allo scrivente, in coppia con Pier Angelo Simetti, viene assegnata una camera matrimoniale. L’incubo, a distanza di anni, non è ancora svanito del tutto! Le notti insonni sono il presupposto per giornate balorde. Il compagno di letto, russatore emerito, violentava la quiete notturna con grugniti, gemiti, sospiri, rantoli di diversa tonalità senza alcuna interruzione. Recuperavo un po’ di sonno la mattina, sulla spiaggia, al riparo del Sant’Alberto.
Nel Golfo di Napoli, nella tarda mattinata, con tempo stabile, entra una vivace brezza da maestrale. Le prime due regate, pur con totale impegno dell’equipaggio, non portarono a risultati eclatanti: si scivolò nel limbo della dignitosa mediocrità. Né primi, né ultimi: là nel mezzo! Nella seconda regata la sorte fu propizia per la nostra… incolumità. Nel bordeggio, noi con mure a dritta, ad un incrocio, il bompresso e la prua di un avversario sfondarono la nostra fiancata sinistra al di sopra della linea di galleggiamento (per fortuna). Una tavola del fasciame rotta evidenziava una preoccupante falla.
A terra, Simetti, con iniziativa personale, prese contatto con il titolare del prestigioso cantiere APREA-MARE (gozzi extralusso) per rimettere in sesto il Sant’Alberto. Per motivi di natura assicurativa e per la volontà di portare a termine la manifestazione rinunciammo alla disponibilità del famoso cantiere. Medicammo la ferita con colla e tela adesiva.
La sera, a Marina Grande, il Sant’Alberto ci servì anche da punto di appoggio per poter ammirare lo spettacolo musicale di Renzo Arbore. Su un grande palcoscenico, costruito al limite della spiaggia, con dovizia di uomini e di materiale, il grande show-man e la sua “Orchestra Italiana” resero omaggio alla città. L’esordio fu la famosissima canzone “Torna a Surriento”, suonata e cantata con bravura ma anche col cuore. Poi scivolarono sui motivi di “Quelli della notte” e di “Indietro tutta”, storiche e indimenticabili trasmissioni televisive. Facile immaginare l’entusiasmo del folto pubblico nel sentire brani come “Il materasso”, “Ma la notte no” ecc. ecc.. Serata da ricordare. Evento imprevisto, l’amico Giorgio Ghio, con rincrescimento, ci avvisò che l’indomani sarebbe ripartito per Genova a causa di impellenti, imprevisti motivi personali.
Sull’esperienza delle due prove già effettuate (con brezza tesa), la mancanza di un quarto uomo fu motivo di apprensione per i restanti. L’unico in grado di sbrogliare la matassa non poteva essere che il Pier Angelo Simetti. “Non c’è nessun problema” annunciò con decisione, “mia figlia regata nei 470 e conosce un ragazzo napoletano. Ora le telefono e mi faccio dare il numero”. Detto fatto, figlia collabora, numero ricevuto e messo in chiamata. Risposta di uno dei genitori: “Alessandro è in mare in allenamento: sarà a casa all’ora di cena”. Contattato all’ora concordata, il nuovo acquisto assicurò la sua presenza per l’ultima regata in programma.
Nel frattempo il sottoscritto aveva abbandonato, con enorme sollievo, la tellurica convivenza notturna con Pier Angelo e si era trasferico con Fossati, al posto reso libero dalla partenza di Ghio. Riuscii a dormire! La mattina, sfruttando l’agilità della moto, Alessandro arrivò senza difficoltà a Marina Grande e individuò facilmente chi aveva richiesto il suo intervento. Bel ragazzo, viso simpatico, cortese, sveglio. Saluti, due parole di convenevoli misero a fuoco un eloquio scorrevole, privo di inflessioni dialettali, presupposto di una base culturale di un certo livello. Studente di ingegneria al terzo anno.
Si vara il Sant’Alberto ed appena in acqua il comandante ordina al nuovo acquisto di sistemarsi a prua a combattere con bompresso, carro, fiocco ecc. ecc. Eravamo tragicamente fermi! Poppa immersa, prua sollevata; le linee d’acqua non avevano il più remoto vincolo di parentela con quelle pensate dal progettista e realizzate con competenza e passione dal costruttore. Partenza tra dieci minuti. Strizzo l’occhio al prodiere informandomi sulla sua attività velica. “Faccio tutte le regate nazionali del 470. Qualche volta sono andato anche all’estero. In classifica nazionale speravo di essere tra i primi dieci, ma sono solo dodicesimo. Dopo questa rivelazione, Simetti si sposta a centro barca, Fossati a prua, Gatti alla randa e Alessandro al timone. Miracolo nel Golfo! Giocando più sul “cammino” che sullo “stretto” Sant’Alberto aveva cambiato passo! Nella nostra classe non ci furono avversari. Il timoniere, favorito anche dalla perfetta conoscenza del campo di regata, fece il vuoto. Il secondo era a duecento metri. Esibizione storica: all’arrivo eravamo sulla scia dei gozzi di maggiore dimensione partiti 5 minuti prima. Premiazione e pranzo in un lussuoso locale al limite della spiaggia.
Il ritorno si svolse regolarmente senza inconvenienti di sorta.
Sant’Alberto vincente e ferito. Una volta a casa, il paziente fu portato a Pontinvrea, dove il valido Cecconi di Varazze gestisce un piccolo cantiere famoso nel recupero di imbarcazioni storiche. La riparazione fu effettuata con usuale maestria (irriconoscibile), ma per un equivoco ancora non risolto, vennero tolte le famose “scovette”. Ma questa è tutta un’altra storia.